Un segnetto è, in poche parole, davvero poche se le contiamo, tipo un paio, un segno piccolo, breve. È una traccia a doppio senso: qualcosa mi ha colpita e ha lasciato il segno, il segno che lascio della cosa che mi ha colpita.
Mi piacciono molte cose – o, più che altro, mi interessano molte cose che non trovano uno spazio in quello che occupo io ogni giorno.
Un segnetto a volte è un po’ un monologo: è quel tratto arrotolato su se stesso che tracci mentre sei distratto a lezione, mentre sei in riunione, mentre sei impegnato in una call su Skype e sembra proprio che ti stia segnando (sic!) proprio tutti i dettagli, quelli che una volta si facevano pure al telefono, quello fisso – io no, non li ho mai fatti, perché mi spaventa telefonare.
Però il segnetto è anche quella cosa che quando la fai il tuo vicino di sedia si sporge per guardarla e ti sorride, una ragazza a lezione (non vado a lezione dal 2015, non contando il master, ma lì eravamo seduti abbastanza lontani gli uni dagli altri) ti chiede gli appunti perché mi piace proprio la tua grafia, un museo danese ti dice su Instagram che hei, che belli.
Un segnetto collega qualcosa, anche.