Jane Austen, Mainsfield Park

Ho impiegato gran parte della prima metà di luglio a questo libro, e il risultato si può leggere qui.

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Gabriel García Márquez, Nessuno scrive al colonnello

Non c’è più alcun motivo per negarlo: il 2017 è l’anno delle grandi e piccole perdite, per me, e anche l’anno di Márquez. Per fortuna: perché iniziare un suo libro è come tornare a casa. E in questo momento ne ho davvero bisogno.
Nessuno scrive al colonnello è l’anello di congiunzione strettissimo tra il Márquez degli inizi e quello che non era ancora nato e che già era in incubazione e che tutti, anche se non lo sapevano ancora, stavano aspettando.
Il tema dell’uomo militare che si sacrifica per il suo Paese e per la sua causa e poi si trova con niente, ma rimane integro e anche nell’abbruttimento in cui viene costretto, è ricorrente in Márquez, ma le sfumature che di volta in volta Márquez accarezza valgono ogni lettura.
(Gli altri racconti, invece, mi sono piaciuti un po’ meno.)

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Nick Hornby, High Fidelity

Non so perché (cioè, lo so: il mio problema con l’immaginarmi i libri molto diversi da come sono ecc) ma mi aspettavo High Fidelity fosse molto, molto diverso da come si è rivelato.
È difficile, prima di tutto, volere un po’ di bene Rob Fleming. Non è la prima volta che mi succede: però personaggi del calibro di Humbert Humbert (Nabokov, Lolita), Zeno Cosini (Svevo, La coscienza di Zeno) e Frédéric Moreau (Flaubert, L’educazione sentimentale) sono passati alla storia e vivono felici sulla mia libreria, pur essendo dei libri molto lontani da quelli a cui riservo l’appellativo di i miei preferiti, per un motivo: pur essendo ostili alla lettura, con la loro continua manipolazione del discorso – che, d’altronde, è tutto quello che abbiamo, quando leggiamo – parlavano magnificamente. E, in un certo senso, è sempre stato abbastanza per riscattare la loro inettitudine: la loro vita reale non vale un millesimo della vita che costruiscono a parole, ma non ci importa. Quella inventata è altrettanto vera – e bellissima.
Rob no, mi spiace dirlo, Rob è average, in tutto. Temo che sia anche per l’improvvisa vicinanza, scongiurata negli esempi che ho fatto, dei tempi e dei modi in cui ci si immerge leggendo High Fidelity: è tutto improvvisamente normale, in questo libro, e allo stesso tempo difficilmente relatable.
Un paio di volte ho sorriso e annuito, una di sicuro mi sono commossa, ma non basta a non farmi considerare questo un libro troppo settoriale: è per amanti minuziosi e abbastanza snob della musica con il cuore spezzato che non riescono proprio a mollare il cinismo e pensano sia anche un po’ figo. Insomma, considerando quanto mi è piaciuto un romanzo breve su un vecchio generale sudamericano che aspetta nel suo piccolo paesino che gli arrivi la pensione che aspetta da quindici anni, ecco – fate un po’ voi.

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