C‘è probabilmente stanchezza nel sentirmi dire, ogni mese, che il libro che ho letto non era come me lo aspettavo. Se si riesce a sopportarmi ancora per un poco, vorrei dire che i libri che ho letto questo mese non erano come mi aspettavo fossero. Sì, lo so.

Kazuo Ishiguro, The Remains of the Day

Il giorno della proclamazione del Nobel, Maria Gaia ci ha scritto «Muovetevi prima che il prezzo dei libri lieviti». Un attimo dopo compravo su AbeBooks per 80 centesimi una copia di The Remains of the Day, dopo una settimana mi arrivava per posta e iniziavo a leggerlo. Mi ci è voluto un mese intero per finirlo. Ovviamente, non era come me lo aspettavo.

Dalle parole di Mari, avevo cominciato a creare un piccolo mondo tranquillo, raccontato forse in terza persona, incentrato sul viaggio di un anziano signore attraverso la campagna inglese verso una vecchia amica e possibilmente grande amore della vita. A posteriori in parte è stato così, ma forse mi ero confusa con un altro romanzo, che non ho mai realmente letto. Mi sono invece trovata a sfogliare un libro quietissimo − in un senso totalmente diverso. Il protagonista è la voce narrante e non ha alcuna fretta. Si gode le parole che pronuncia (o scrive), i discorsi − meglio, digressioni − si prolungano per pagine e pagine, ritornano dopo interi capitoli per essere affinati ed è difficile che Stevens molli la presa se prima non ha detto tutto quello che poteva dire. La cerimoniosità giapponese incontra quella britannica e il risultato è, molto spesso, micidiale: Stevens è un maggiordomo ligio e orgoglioso di esserlo. E ci terrà al fatto che tu lo sappia. E lo tenga ben presente. Dalla prima pagina all’ultima.

Una sera di fine novembre ero ancora a pagina 176 delle 257 che compongono la mia edizione. Mi sono seduta al tavolo della cucina e mi sono detta, categorica: «Non ti alzi da qui, non mangi, non tocchi il telefono, non fai nulla finché non hai finito questo libro».
A pagina 200, mi stavo tenendo la testa con la mano sinistra perché la noia era potente.
A pagina 251, cominciavo a fare quei piccoli sospiri che fanno i bambini prima di cominciare a piangere.
A pagina 252, lacrimavo e singhiozzavo senza ritegno.
A pagina 257, finisce il libro.

Ora. A parte che trovo di una crudeltà indicibile questo trattamento, è esattamente il tipo di trama che mi strazia e che mi fa sentire che la letteratura in fondo ha un senso. Perché è perfettamente reale: rimani ad aspettare una certa determinata cosa, costruisci aspettative silenziose e in queste incastri tutto te stesso (e il lettore, abilmente e terribilmente), tutto sembra portare a quello − o almeno così dovrebbe, perché è così che funziona una trama, giusto? − e non posso dire altro. Non vieni ripagato di quelle duecentocinquanta pagine, ma alla fine non si viene ripagati mai di nulla, no?

Non so se lo rileggerei, ma è un esempio di letteratura che sicuramente citerò più volte e su cui tornerò, almeno con il pensiero.

J. D. Salinger, Franny & Zooey

Ho letto Il giovane Holden in italiano anni fa, forse una decina, e non mi era piaciuto per nulla. So che recentemente hanno aggiornato la traduzione, quindi sarebbe anche il caso di dargli un’altra chance, perché, a quanto pare, anche in inglese è molto difficile e quindi perché complicarsi la vita? In realtà, però, non sento una particolare urgenza di riprenderlo in mano.

Franny & Zooey, invece, l’ho letto in inglese in pochi giorni. Ed è meraviglioso.

I don’t know what good it is to know so much and be smart as whips and all if it doesn’t make you happy.

Mrs. Glass in J. D. Salinger, Franny & Zooey

Forse il contenuto del libro mi sarebbe piaciuto (ancora) di più se l’avessi letto anni fa, ma la lingua avrei potuta apprezzarla così (e per così intendo davvero così tanto intensamente) solo ora, dopo aver letto quest’estate Parise e Pavese.
Una lingua così perfetta e fluida che non sembra scritta ma ancora solo pensata. Naturale. Bellissima. Che desidera essere letta.

E i personaggi sono bellissimi e non penso mi sia mai capitato di volere così tanto la possibilità di leggere ancora di loro, di sapere cosa succeda dopo, cosa sia successo prima − quindi mi sa che dovrò continuare a scoprire questo Salinger inglese, perché scrive con un’aderenza perfetta tra ciò che viene detto e come viene detto. Ed è raro e stupendo e finalmente capisco perché sia così amato e fondamentale.

If you’re going to go to war against the System, just do your shooting like a nice, intelligent girl − because the enemy’s there, and not because you don’t like his hairdo or his goddam necktie.

J. D. Salinger, Franny & Zooey

Francesca Chiorino, Case in Giappone

Ho letto Case in Giappone per lavoro e, ecco, meno male. Perché, per quanto ami l’architettura − per ragioni di estetica e di sangue −, non ho mai effettivamente considerato quella nipponica, soprattutto contemporanea.
Prima di tutto, Francesca Chiorino scrive benissimo: è un racconto, tecnico e dettagliato, ma assolutamente affascinante. La cura che dedica alla presentazione mi ha permesso di ambientarmi perfettamente in un costume sociale e culturale, ancora prima che architettonico, che conosco poco e in cui mi era indispensabile affacciarmi per poter davvero apprezzare il volume. Che è orizzontale e ha delle fotografie spettacolari.

La selezione dei progetti è varia per funzione, città, forma, materiali impiegati e, ovviamente, studio di architettura. Per approfondire questa parte, ti consiglio la recensione apparsa su Pianoprimo. Anche perché ci ho messo una vita a fare quei collage.

2 thoughts on “The Book Edit | November, 17

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