Quando il sole continua a essere caldo ma le ombre si allungano, quando le lentiggini diventano schiere e c’è ancora tempo prima di rientrare a casa.
Queste sono le letture della mia estate inoltrata.

Alice Munro, Danza delle ombre felici

Scoprire Alice Munro solo appena prima dei 29 anni dovrebbe essere punito sulla pubblica piazza. Oppure elogiato, se si è del partito meglio tardi che mai. Ho iniziato dalla sua prima raccolta di racconti, perché spero di seguire il cammino dei suoi luoghi, della sua lingua e delle sue immagini libro dopo libro, creare un sodalizio o addirittura un’amicizia tra noi.

Mi piacciono queste donne dalla vita piccola ma per niente semplice, queste donne non cittadine ma padrone del proprio paese, della propria casa, del proprio orizzonte. Anche solo perché lì si muovono, lì intrattengono i rapporti, lì plasmano un modo di pensare e desiderare che non potrebbe esistere da nessun’altra parte.

Ma mi piace ancora di più l’abilità di Alice Munro di trovare i dettagli perfetti per ritrarre un’intera persona o un intero ambiente; l’affilatezza della descrizione, condensata nel giro di poche parole, che definisce i contorni delle figure in modo netto, che inchioda i personaggi senza lasciare loro alibi, che mette in luce tratti che potrebbero non essere salienti ma che sono fondanti.

Connie Palmen, Tu l’hai detto

In quanto donna, sono naturalmente dalla parte di Sylvia Plath. In quanto donna che ha a che fare con la scrittura, che legge poesie e conosce la depressione, sono consapevolmente dalla parte di Sylvia Plath. Proprio per questo ho pensato, all’inizio dell’estate, che leggere Tu l’hai detto di Connie Palmen (in Italia con Iperborea) poteva essere necessario.

È un racconto stupendo, detto senza giri di parole. È il racconto di due vite che si intrecciano saldamente e che non potranno mai essere separate nella memoria collettiva e che, pure, sembrano sempre correre parallele, indispensabili l’una per l’altra ma intrinsecamente inconciliabili.
Il punto di vista di Ted Hughes conduce la narrazione (o il ricordo), raramente chiamando Sylvia per nome e sempre definendola come «la mia sposa». Una scelta eccellente di Connie Palmen: fa creare a Ted una distanza (solo apparente) per poter meglio mettere le mani in questo caos, dentro fino al gomito in un’esistenza unica al mondo – ma lo sapeva, poi, questo inglese amante dei classici cosa gli stava accadendo? Avevano il presentimento che sarebbero diventati immortali?

Di Sylvia ho letto solo The Bell Jar, comprata a 80p a Londra, probabilmente in una libreria seminterrata o in un charity shop. L’ho trovato difficile, ricordo poco e niente e un poco mi vergogno ad ammetterlo. Eppure so e sento che si debba essere dalla parte di Sylvia Plath: siamo sempre dalla parte delle donne che scrivono, che soffrono, che muoiono. E ricordo di aver trovato anni fa su Twitter un thread giustamente offeso da un’edizione dei diari e delle lettere della Plath con lei in copertina ritratta nel famoso bikini bianco, sorridente e bella da far male. Si chiedeva, il thread (che non si può più vedere ma il cui inizio è riportato anche qui), se un’opera di Ted Hughes sarebbe mai uscita in libreria con lui in boxer: ci hanno provato, per dimostrarne l’assurdità. Come si può non essere del partito Sylvia?

Anche per questo per il primo terzo di Tu l’hai detto ho trattenuto il fiato, procedendo in apnea: non volevo cedere al fascino di Ted, non volevo familiarizzare con lui come persona e come personaggio, volevo usarlo come uno strumento per scoprire di più su Sylvia, per avvicinarmi a lei. Ma Connie Palmen compie il miracolo: se non simpatizziamo con Ted Hughes almeno lo ascoltiamo e assaporiamo anche la sua, di lingua; le braccia tenacemente conserte un po’ si allentano, mettiamo il mento sul palmo della mano e godiamo dell’evocazione (dell’esorcismo) di cui sanno queste pagine.

Katherine Mansfield, Collected stories

Esiste una copertina più adatta di questa a un caldo viaggio in una provincia siciliana? Una raccolta di racconti ancora in lettura, che ho scelto per altri due motivi oltre alla grafica: di Katherine Mansfield ho letto solo la biografia scritta da Citati (era il 2018 e già dicevo che è una di quelle scrittrici che proprio avrei dovuto leggere, prima o poi) e le lodi che di lei tesseva Virginia Woolf, definendola «l’unica persona che scrive di cui esser gelosa».

Ho iniziato da poco, da pochissimo: ma le parole ci sono, suonano belle e precise, mi invitano a continuare. Anche quando il sole sarà meno forte.

Leave a comment