Non mi aspettavo di trovare Steve McCurry a Sansepolcro, o il borgo, come lo chiamano Elia e anche tutti gli altri. Conoscevo ovviamente il ritratto della Afghan Girl , ma non molto altro, e non sapevo cosa aspettarmi.

Non sono mai stata brava nelle attese. Nonostante questo, attendo ormai come pratica costante.
Ho evitato il più possibile il pendolarismo, eppure sto già raggiungendo i sei mesi. Ancora devo capire se lo possa chiamare un traguardo.
Quando possibile, ho rinunciato a relazioni a distanza, e tra poco saranno tre anni che ci impegniamo ad accorciarle. Le distanze, non le relazioni.
Con Icons, Steve McCurry è riuscito a donarmi un’altra visione dell’attesa.

Steve McCurry, Icons
dal 28 giugno al 5 novembre 2017
Museo Civico di Sansepolcro
Via Niccolò Aggiunti 65, Sansepolcro, Arezzo

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Dopo qualche fotografia, comincio distintamente a sentire ed entrare nel ritmo di Icons. L’audiogiuda è gratuita, spazia dagli aneddoti ai dettagli ed è molto consigliata, anche se a tratti ripetitiva. È proprio questa insistenza, però, ad attrarre la mia attenzione fuori, in un certo senso, dalle immagini:

Dopo un’attesa di molte ore…
Sono rimasto in attesa tutto il giorno…
Sono tornato il giorno dopo…

Così dice Steve McCurry parlando della sua tecnica fotografica – la pazienza.

steve mccurry boy in mid flight
Steve McCurry, Boy in Mid Flight

Che strano: ho sempre immaginato che un photoreporter non potesse mai permettersi di stare un attimo fermo – sai, quella cosa per cui ti potrebbe scappare una storia. Quasi un imperativo deontologico.

McCurry, invece, esercita un rituale di attesa attiva per ogni scatto. Attesa attiva? Non so da dove mi sia venuto, ma comincia ad avere abbastanza senso dentro di me: l’attesa che conosco e pratico è passiva, è attesa di orari, di mezzi e di coincidenze (questi ultimi anche in senso lato). McCurry aspetta, invece, di poter scattare: proprio perché non sa quando si presenterà questa effettiva occasione, però, non può far calare l’attenzione. Parlando di alcuni scatti fatti per strada o durante un mercato, dice qualcosa che suona come «Andavo in giro sempre guardando fuori dal finestrino, sempre guardandomi tutt’attorno, per cogliere anche la minima traccia di un possibile scatto».

Quando sei fuori per fotografare, non è tutto incentrato sugli scatti che farai. È anche questione di godersi il pomeriggio, le persone o i luoghi che stai fotografando. A volte mi intrattengo a parlare con persone che finisco con il non fotografare nemmeno. Sei in giro per fare esperienza del posto. Per me, la fotografia ha molto più a che fare con questo: vagare ed esplorare.
Steve McCurry

steve mccurry Horse And Two Towers
Steve McCurry, Horse And Two Towers

Un’altra cosa che non mi aspettavo: soffermarmi davanti a quasi ogni scatto – e sono più di cento. Concentrare ed esercitare il mio sguardo. Non sentire stanchezza o cali di attenzione. Bere ogni fotografia come se fosse la prima, con la stessa ammirazione. Per la sua bravura, certo, ma anche per quella caccia sistematica e inarrestabile alla piccola cosa nascosta, all’attimo brevissimo o al minimo cenno – per sempre rivedibile, anche da me.
Per gli attimi ci vuole pazienza, ho scoperto. Bisogna saper attendere.

steve mccurry stilt fishermen
Steve McCurry, Stilt Fishermen

La stessa gentilezza che ha per il suo soggetto, concedendogli tutto il tempo di cui ha bisogno per rivelarsi, McCurry l’ha per il suo pubblico. Davanti a ogni fotografia c’è tempo per interrogarsi: chissà dove sta correndo, cosa sta facendo lì, come fa a rimanere in quella posizione, come ci è arrivato, cosa sta succedendo. Ogni scatto custodisce un segreto, ma quello che rivela è la grande potenza di una storia senza parole.

steve mccurry Monks Praying at Golden Rock
Steve McCurry, Monks Praying at Golden Rock

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